Gospel: Siena, 1995 – Capitolo 1

The Gospel according to All
Terza Vita: Siena, 1995
Capitolo 1
L’Ispettore Martini si avvicina alla pensione, cercando di risolvere il suo ultimo caso.

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L’ispettore Martini è un uomo molto alto.
Ha grandi mani, mani che più di una volta ha usato per spaventare gli indagati durante gli interrogatori. Ma sono anche mani delicate, capaci di toccare teneramente le corde di un violino.
L’ispettore Martini andava orgoglioso

The Gospel according to All
Terza Vita: Siena, 1995
Capitolo 1
L’Ispettore Martini si avvicina alla pensione, cercando di risolvere il suo ultimo caso.

L’ispettore Martini è un uomo molto alto.
Ha grandi mani, mani che più di una volta ha usato per spaventare gli indagati durante gli interrogatori. Ma sono anche mani delicate, capaci di toccare teneramente le corde di un violino.
L’ispettore Martini andava orgoglioso dei suoi capelli, quando erano gli anni ’70. Ma ora è calvo e non fa nulla per nasconderlo. Non gli importa più.
L’ispettore Martini indossa una felpa e dei pantaloni di stoffa sotto un pesante cappotto. Uno di quei cappotti beige che i borghesi degli anni ’70 dovevano indossare per apparire rispettabili. Ma, a differenza dei suoi coetanei, lui non l’ha mai seppellito nell’armadio.
L’ispettore Martini si chiama Claudio, è nato il 15 settembre del 1940 e prende sempre il caffè con due zollette di zucchero.
“Morirai di diabete.” gli dice Giuseppe, che invece lo prende nero come la notte.
Claudio scrolla le spalle, senza rispondere. Gira il cucchiaino dentro la tazza, nervosamente. La mattina non si prospetta delle migliori. Nessuna lo è mai stata, negli ultimi tempi. La colazione al bar serve a dimenticare i brutti pensieri e a passare qualche minuto in compagnia, senza soffermarsi troppo sui casi irrisolti o sulla pensione in arrivo.
“Ultimamente faccio degli strani sogni.” dice Giuseppe.
“Ah, si?”
“Sì. Nadia, c’è ancora una pasta con la marmellata?”
“Mi sembra di sì. Prendila pure.” risponde la barista.
Claudio finisce di bere il caffè. Troppo dolce. Forse ha messo per sbaglio tre zollette di zucchero, invece di due. O forse ha ancora in bocca il sapore del biscotto di quella mattina.
Giuseppe si mette a sedere al tavolo. Sfoglia pigramente la Gazzetta dello Sport, poi comincia a mangiare la brioche.
“Bè?” chiede Claudio.
“Cosa?”
“Questi sogni che hai fatto.”
“Oh, i sogni. Si.”
Giuseppe si fa più cupo. Ricomincia a sfogliare distrattamente il giornale, poi comincia a parlare. Non guarda il collega negli occhi.
“È strano, sai. A volte mi capita di pensare a quel caso che abbiamo avuto… quand’era, tre anni fa?”
“Quale?”
“Quello del Santoni.”
“Sì, tre anni fa.”
“Bè, lo ricordo come se fosse ieri. La ragazzina morta, il ragionier Santoni come unico sospettato. C’erano le sue impronte sulla scena del crimine. Aveva quel cazzo di bastone in cantina. Non ci si poteva sbagliare. Doveva essere lui per forza.”
“E lo era.”
“Sì. Ma non crollava. Non ti ricordi, quel poliziotto di Perugia? Quello che poi hanno trasferito?”
“Sì.”
“Ti ricordi che stava per prenderlo a pugni durante l’interrogatorio? Quello stronzo del Santoni non crollava. Avevamo tutto, ma non il movente. Nessuno li aveva mai visti assieme, nessuna amicizia in comune. Niente. C’era tutto, tranne il movente.”
“Non dire cazzate. Il movente c’era. Abbiamo trovato quelle foto. La spiava da mesi.”
“Sì, vabbè. Ma le abbiamo trovate due mesi dopo, capisci? Due mesi! Se sua moglie avesse ripulito la soffitta un pò prima, sarebbero sparite anche quelle. Per due mesi il crimine è stato senza movente. O meglio, lo sospettavamo che quel Santoni avesse dei problemi… ma non avevamo la certezza. Potevamo commettere un errore.”
Claudio annuisce. Porta una mano al taschino, cercando il pacchetto di sigarette e la scatola dei fiammiferi. Giuseppe finisce di mangiare la brioche.
“Si, vabbè. È stato un caso limite, quello del Santoni. Ma che c’entra con i tuoi sogni?”
“Ieri sera ci stavo pensando. Lascia perdere il Santoni, adesso. Immagina un crimine senza movente. Non uno schifoso pedofilo dalla bocca cucita. Immagina che ci sia una persona, anche una persona comune, che un giorno decide di uccidere qualcuno. Senza movente.”
Claudio fa una smorfia. Si accende una sigaretta, in silenzio.
“Metti che passa una persona per strada, metti che è la prima volta che la vedo. – continua Giuseppe – La seguo. Con una scusa la porto in un posto isolato. La uccido. Se sono abbastanza bravo, se so come lavora la polizia, posso anche evitare di lasciare tracce. E nessun movente. Cristo, nessun movente, nessuna traccia. L’omicidio perfetto.”
“È una stronzata.”
“No, è perfetto. Il capo potrebbe anche raddiopparci la busta paga, ma non c’è Cristo che tenga. Se non c’è movente, come lo prendi? E se lo prendi, come fai ad essere sicuro che è lui il responsabile? Con un avvocato bravo non finisce neppure in prigione.”
“Ed è questa storia che stai sognando?”
“Più che sognando, diciamo che ci stavo pensando. Quando ero a letto, nei giorni scorsi. Prima di addormentarmi.”
“La sognavi o ci pensavi?”
“Non lo so. Non è la stessa cosa, in fin dei conti?”
“No. O la sognavi, o ci pensavi.”
“Vabbè, allora la pensavo.”
“Allora hai dei problemi.”
“Non ho mica detto che voglio uccidere il primo che passa! Era un pensiero, tutto qua. Se capitasse, sarebbe un bel casino.”
Claudio annuisce di nuovo. Gli sembra che quel discorso non vada a parare da nessuna parte. Come capitava spesso con il suo collega, la mattina non ci si poteva aspettare dei discorsi carichi di significato. Perlomeno, quella mattina non si stava arrabbiando per le partite di calcio o per le gare di Formula 1.
Giuseppe tira fuori un borsellino e comincia a contare le monete.
“Nadia, ci fai lo sconto? Mi mancano duecento lire.”
“E tu mi fai lo sconto se finisco in galera?”
Giuseppe ride, poi le porta le monete al bancone. Claudio spegne la sigaretta. Rimugina ancora sulle parole dell’amico.
“Era solo un sogno.” dice, dopo qualche secondo.
“Cosa?”
“Quel tuo pensiero. Era solo un sogno, anche se non lo era. Non potrebbe che essere un sogno. Nulla di reale.”
Giuseppe si gratta il mento, perplesso.
“Non è possibile che non ci sia un movente. Se il criminale non è un malato mentale, c’è sempre un movente. Anche il gusto di uccidere qualcuno incontrato per strada è un movente. Ho letto di alcuni serial killer in Canada che l’hanno fatto. C’è sempre un movente.”
“Non ne sono così convinto.”
Claudio gira il cucchiaino dentro alla tazzina vuota, nervosamente.
“C’è sempre un movente. C’è sempre un ragione. Passionale, intenzionale, quello che vuoi… ma c’è sempre una ragione dietro a una morte.”
“La morte deve avere sempre una ragione?”
“Non la morte in generale. L’omicidio. La morte se ne frega degli uomini. Ma gli uomini non sono capaci di fregarsene. Quando uccidono un loro simile, c’è sempre un motivo.”

 

Una nottata di merda, in questura. Il turno notturno è sempre stato una merda, per Claudio, anche quand’era un semplice agente di polizia. Non che preferisse starsene a casa, per carità. Avrebbe dormito in ufficio, se fosse servito alle indagini. Ma durante la notte Siena è quasi deserta e in questura aleggia una pessima atmosfera, perchè non sai mai cosa aspettarti. Le cose peggiori, in quella città come nel resto del mondo, accadono di notte.
Anche questa è una nottata di merda, per Claudio. Il temporale si abbatte sui tetti di Siena dal pomeriggio, e la pioggia non accenna a diminuire. In questura sono già arrivati due immigrati clandestini, una coppia di sposini che si erano messi a tirarsi i piatti la prima notte di nozze e un drogato in cerca di una dose, che aveva confuso il portone della centrale con quello dell’amico spacciatore.
Una notte come tante, insomma. Claudio finisce di scrivere gli ultimi verbali con il computer. Non si è ancora abitauto, preferirebbe la macchina da scrivere; ma i tempi cambiano, ed è necessario adattarsi alle nuove tecnologie. Giuseppe beve una tazza di caffellatte, stiracchiandosi sul divano dell’ufficio. La televisione è accesa sul telegiornale, che indugia enfaticamente sugli ultimi casi di cronaca nera.
La chiamata arriva all’improvviso, interrompendo Claudio mentre cerca la parola giusta per finire la frase. La degna conclusione di una nottata di merda: una rissa tra ubriachi fuori da un bar, con un morto e due feriti.
Giuseppe vorrebbe finire di bere la sua tazza, ma Claudio se lo porta dietro. C’è Angelo nell’altro ufficio, pronto a fare la spia con il capo per ogni loro ritardo o disattenzione.
Arrivano in zona Due Ponti che sono passate da poco le due. Il bar è vicino all’incrocio che conduce verso la superstrada. Gli agenti hanno già delimitato la scena del crimine. Non ci sono curiosi da tenere lontani, in una notte come quella. Piove, e soffia un vento gelido. Sembra che le nubi si divertano a pisciare loro in faccia. Le banchine e i parcheggi sono coperte di fango e bottiglie di birra.
Giuseppe parcheggia in mezzo alla strada, poi esce con il cappello in testa. Claudio si aggiusta il cappotto e apre l’ombrello. Accanto a loro c’è un’altra auto della polizia, una volante dei carabinieri e un’ambulanza. Giorgia li saluta con un cenno della testa.
“Brutta nottata, eh?”
“Almeno noi eravamo al caldo.” dice Giuseppe, sorridendole.
Luca li raggiunge in un attimo, con quella sua tipica espressione corrucciata. È bagnato fradicio, non ha neppure il cappello.
“Sembra una normale rissa.”
“Che è successo?”
“Erano in quattro. Così ha detto il barista. Hanno cominciato a litigare per delle stronzate, pare. Forse per la politica, o per le donne.”
“Donne. Quando ci scappa il morto, se non ci sono i soldi di mezzo, è sempre per colpa delle donne.” ironizza Giuseppe.
Giorgia gli lancia un’occhiataccia. Lui le fa l’occhiolino.
“Comunque sia… – continua Luca – Il barista si è incazzato. C’era un gruppo di ragazzi che festeggiava la laurea e l’hanno aiutato a buttare fuori questi quattro idioti. Però hanno continuato a darsele di santa ragione anche fuori.”
“Tutti e quattro?”
“No. – dice Giorgia – Uno è andato via subito. L’hanno detto anche i ragazzi.”
“Ci hai già parlato tu?”
“Sì. Sono ancora dentro, se vuoi parlarci. Comunque, sono affidabili. Ragazzi del posto, legati alle contrade.”
“E il morto?” chiede Claudio.
“Era ubriaco. Ha spaccato tre denti a uno e un paio di costole a un altro. Solo che il primo ha tirato fuori la pistola e gli ha fatto un’iniezione di piombo ad azione rapida.”
“Cos’è? Uno degli albanesi?” chiede Giuseppe.
“No, no. Un vigilante del posto. Ubriaco anche lui.”
Claudio annuisce. La pioggia scroscia con maggiore violenza. Giorgia è coperta da un impermeabile azzurro, ma i suoi capelli corvini sono completamente zuppi. Una macchina giunta dalla superstrada rallenta vicino a loro, poi prosegue verso il centro.
“Bene. – dice Giuseppe – Quello che è scappato? L’avete ripreso?”
“Non è scappato. – chiarisce Luca – Ha smesso di fare a botte e se n’è andato, prima che la situazione degenerasse.”
“Forse un cazzotto lo ha fatto rinsavire improvvisamente. Se ne prendeva un altro paio, diventava un genio della scienza.” scherza Giuseppe.
A Claudio non sfugge la risatina di apprezzamento di Giorgia. Luca tossisce, infastidito, poi continua a parlare:
“Una pattuglia dei carabinieri è già andata a cercarlo. Non sarà andato troppo lontano.”
“E i feriti?” chiede Claudio.
“Sull’ambulanza. Confermano la versione degli altri testimoni, per ora.”
“Sono messi male?”
“No. Sono vivi, perlomeno.”
Claudio non ha bisogno di dare ordini. Dopo tanti anni, ormai tutti conoscono la sua prassi. Giuseppe va a parlare con i feriti, gli agenti tornano a raccogliere le dichiarazioni dei testimoni dentro al bar. Lui si concentra sul cadavere, come al solito. I rapporti sociali lo disturbano. Lo confondono, lo infastidiscono. Preferisce i fatti. I ragionamento, gli indizi, i dettagli. I vivi possono fregarti, con le loro menzogne e i loro sporchi giochi. I morti no.
Il cadavere è steso sull’asfalto. L’acqua ha lavato via il fango e il sangue. La sua nottata è stata peggiore di quella di Claudio, senza dubbio. È un uomo sulla quarantina, col volto butterato e corti capelli scuri. Gli agenti hanno già fatto le foto e perquisito il corpo; il coroner ha già provveduto a fare le sue analisi ed è pronto a portarlo via. Claudio prende in consegna gli effetti personali dell’uomo e lo osserva per l’ultima volta. Il proiettile gli ha scavato un buco all’altezza del cuore. Una morte istantanea, forse neppure dolorosa. Ma gli occhi sono spalancati, come paralizzati in un’eterna sorpresa.
La morte coglie tutti impreparati, Claudio ne è consapevole. La morte coglie all’improvviso, anche quando è attesa. Claudio non ha mai visto pace, negli occhi dei cadaveri, nel corso di tutte le sue indagini. Sempre e solo dolore, stupore, terrore. Neppure i suicidi desiderano veramente la morte. Anche loro hanno gli stessi occhi inquieti e spalancati, lo stesso sguardo atterrito.
Claudio cerca una sigaretta, distogliendo lo sguardo dal corpo. Un autobus gli passa vicino, schizzandogli il fango sul cappotto. Una nottata di merda.

 

Il morto si chiamava Renato Bianchini. Quarantaquattro anni, nato ad Asciano, impiegato nell’azienda di trasporto pubblico come autista degli autobus urbani. Claudio gira la carta d’identità tra le mani, poi si accende l’ennesima sigaretta. Gli effetti personali del morto si limitano al portafogli. Claudio lo svuota sul tavolo, lentamente.
Ormai non si stupisce più di ciò che può capire da un semplice portafogli. Tutta una vita racchiusa in un piccolo oggetto, tra soldi e documenti, foto e portafortuna. Tutti quegli oggetti parlano più di un morto. E non mentono.
Fuori piove ancora. La questura è calma. Anche il drogato ha smesso di lamentarsi, dentro la cella. Giuseppe fuma in disparte, facendo zapping alla televisione. Giorgia e Luca sono già andati a casa, mentre Angelo lavora freneticamente ai suoi verbali.
Cluadio osserva il contenuto del portafogli. Trentamila lire, qualche spicciolo. Nessuna carta di credito. Una scheda telefonica. La carta d’identità dice che Renato era divorziato. La fotografia in bella vista mostra una donna e un bambino, sorridenti; è vecchia di qualche anno. Il tesserino del lavoro è usurato, a differenza del passaporto. Claudio si lascia sfuggire un sorriso: anche nel suo portafoglio è la stessa cosa. Troppo tempo passato a lavorare e troppo poco tempo libero per viaggiare.
Nella tasca interna c’è una nutrita collezione di biglietti da visita: un’azienda di vini di Montalcino, la sala giochi del quartiere, la pubblicità di una cartomante, l’abbonamento alla palestra e la tessera di un’associazione sportiva dilettantistica. E infine una piccola rubrica telefonica, in cui sono segnati una ventina di numeri tra familiari e amici.
Non c’è molto da indagare. Non c’è nulla da scoprire, in realtà. Quella del morto era una vita come tante, quella fuori dal bar era stata una rissa come tante. Claudio non ha bisogno di fare congetture assurde, neppure per passare il tempo. Le testimonianze sono sufficienti. E l’assassino ha già confessato, durante il tragitto verso l’ospedale.
Renato era rimasto vittima di una banale rissa da bar. Ha avuto la sfortuna di prendere a pugni la persona sbagliata, un vigilante fuori servizio col vizio dell’alcol, che aveva fatto dei commenti un pò troppo avventati sulla sua ex moglie. E che aveva tirato fuori la pistola senza riflettere.
Claudio spegne il mozzicone della sigaretta sul posacenere, poi rimette a posto il portafogli. Ha intenzione di rimandare al giorno successivo indagini più accurate. Se quello era l’ultimo caso della sua carriera, prima del pensionamento, si trattava di un caso fin troppo semplice. Non era un omicidio di mafia, non era un intrigo politico, non era un regolamento di conti tra bande rivali. Neppure l’omicidio senza movente commesso da un folle, l’incubo che turbava il sonno di Giuseppe. Quello era un caso come tanti, una vittima come tante. Solo un’altra morte di una persona di passaggio, che non avrebbe avuto neppure la soddisfazione di un fascicolo zeppo di verbali e un processo carico di veleni.
Solo un’altra notte di merda, come tante altre.

2 Comments for “Gospel: Siena, 1995 – Capitolo 1”

Fabrizio

says:

Accidenti Alessio, non immaginavo tutto questo talento…Congratulazioni e in bocca al lupo !
Mi piace e continuerò, adesso quando escono gli altri capitoli?

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