Fuori dal palcoscenico

“Non lo senti, che buon odore?”
Elifas Levi correva lungo il palco, a grandi falcate. Aisha lo fissava in silenzio, dalla prima fila di sedie della platea. Lui si fermò al centro con un ultimo balzo e spalancò le braccia. Fece un profondo respiro, a pieni polmoni.
“Solo sul palco si può sentire quest’odore! – esclamò, estasiato – L’odore della scena, l’odore del teatro!”
Aisha non condivideva il suo entusiasmo. Non aveva paura a contraddirlo, neppure quando mostrava i chiari sintomi dell’assunzione di droghe.
“In realtà – disse – Anche da qui si sente lo stesso odore. Puzza di umidità e di polvere. Dovrebbero aprire più spesso le finestre.”

Levi non si offese. Le puntò contro il dito e avanzò due passi verso di lei.
“È proprio questo il punto. Hai ragione tu, è lo stesso odore. Sul palco e in platea.”
La ragazzina non seguì il filo del discorso. Il teatro era freddo e l’umidità le entrava fin dentro le ossa. Starnutì talmente forte da far risuonare tutta la sala. Levi si mise a sedere sulla ribalta, le gambe penzoloni.
“Tu sei ancora giovane, sai. Ma hai già capito molte cose.”
“Che cosa ho capito?”
“Oh, lo capirai!”

Levi si esibì in una risata sguaiata e si rizzò in piedi con un balzo. Quindi invitò la ragazzina a raggiungerlo.
“Avanti. Abbiamo uno spettacolo da preparare.”
Aisha salì lentamente la scaletta, sbuffando. L’uomo aveva ripreso a correre da una parte all’altra del palco, lungo tutti i lati, come a voler contare il perimetro con i passi.
“I limiti, sì… – diceva – non mi piacciono i limiti. Questo lo capirai anche tu, vedrai, quando sarai più grande. Non è mica una cosa da niente, superare i limiti. Il palco non dovrebbe avere limiti.”
“Sì, ma stai attento a non cadere di sotto.”

Lui si bloccò di colpo e le rivolse uno sguardo rabbioso. Le sue ciglia erano ancora macchiate del mascara di scena, i capelli ricci intrecciati in una retina. Le dita si agitavano nervosamente sotto le larghe maniche.
“Sotto? Dove?”
“Giù dal palco.”
“Non c’è un sotto, dannazione! È tutto palco, non lo vedi?”
Aisha sospirò e alzò gli occhi al cielo. Non lo sopportava quando faceva così. Ma non aveva paura di provocargli forti emozioni. Anzi, forse era proprio ciò che le piaceva fare.
“Se è tutto palco – ripeteva lui – Dove dovrei cadere?”
“Va bene – sorrise lei – Ma stai calmo. Lavoriamo allo spettacolo o no?”

Levi annuì. La fissò per un attimo, poi scomparve dietro le quinte. Aisha si mise a gironzolare in mezzo al palcoscenico, fischiettando. Guardava in alto, tra le funi e le carrucole del teatro, fino alla tenda rossa del sipario. Levi ritornò con in mano una cesta di abiti dai colori sgargianti.
“Per prima cosa dobbiamo scegliere il tuo costume.”
L’uomo cominciò a rovistare nella cesta. Aveva gli occhi vitrei, che scattavano frenetici. Aisha si massaggiò le spalle e starnutì di nuovo.
“Va bene qualsiasi cosa, ma fammi coprire. Fa freddo.”
“No, no! – sbottò lui – Sto sbagliando tutto! Ma quale costume?”
“Non lo so. Non mi hai neppure detto che spettacolo dobbiamo fare.”
Levi la strinse a sé e la baciò in fronte.
“Che stupidi che siamo! Non c’è bisogno di alcun costume… abbiamo già i nostri!”
Aisha lo allontanò.
“Fa freddo, ti ho detto. E poi, perché dovrei tenere i miei vestiti? Che personaggio dovrei portare in scena?”
Lui le arruffò i capelli, con un sorriso sornione stampato in faccia.
“Ma il tuo, sciocchina. Che altro personaggio dovresti interpretare?”
“Vuoi parlare chiaramente o no?”

Elifas Levi riprese a camminare a lunghi passi, sempre più veloce. Girò intorno alla ragazzina, parlando a bassa voce, mentre rifletteva.
“Sì, sì… dobbiamo chiamare tutti. Tutta l’Accademia. Ognuno deve interpretare sé stesso. Sì, faremo così. Tutti sul palco.”
“Ma che stai dicendo? – protestò l’altra – Se chiamiamo tutti sul palco, chi rimarrà a fare il pubblico?”
Lui si bloccò e si lanciò su di lei, le mani verso il volto. Aisha pensò che volesse schioccarle un bacio sulle labbra, ma lui si limitò a stringerle la testa e a ridacchiare.
“È proprio questo il punto! Lo vedi che hai già capito tutto? Chi rimarrà a fare il pubblico?”
“Bé, possiamo affiggere dei manifesti in città. Chiamiamo il popolo…”
“Il popolo, sì! – rideva lui – Ma il popolo non è capace a fare il pubblico! Il popolo va in scena ogni giorno. Lo hai mai incontrato, il popolo?”
“Bé, c’è Jean che…”
“Jean è un tuo amico. Jean è un bambino. Jean non è il popolo.”
“Ma cosa dici?”
“Ma dove lo hai mai visto il popolo, dannazione? Solo i suoi rappresentanti. Sono già in scena, non lo capisci? Il popolo è sempre rappresentato, il popolo è una parte da recitare. Il popolo sta sempre sul palco.”
Aisha sospirò, mentre l’altro riprendeva a camminare e a rimuginare, trasformando il sorriso in un broncio.
“Posso chiamare Lady Celeste ad assistere allo spettacolo.” osò aggiungere la ragazzina. Non riusciva a seguire i discorsi dell’altro, ma non voleva neppure assecondarlo nelle sue farneticazioni.
“Non dire sciocchezze. – tagliò corto lui – Lei è sempre dal Mastro Sensale, a rappresentare le istanze degli iscritti all’Accademia. Ama così tanto rappresentarci che non può evitare di metterci in scena. Neppure lei può fare il pubblico.”
“E allora apriamo le porte e facciamo entrare tutti. Qualcuno potrà pur farlo, il pubblico.”

Levi camminava sempre più veloce, massaggiandosi le tempie con le mani. Boccheggiava, battendo i denti. Aisha starnutì.
“Fa freddo. Andiamo via?”
“No, non possiamo. Non si può!”
“Io me ne vado.”
“È chiaro… è chiaro… nessuno può andarsene. Dobbiamo andare tutti in scena… dobbiamo interpretare noi stessi. L’intero mondo è un palcoscenico!”
“Levi?” chiese la ragazzina, preoccupata.
Lui cominciò a mordicchiarsi le unghie, senza smettere di girare in tondo.
“Sì, sì. Tutti dobbiamo partecipare. Anzi, stiamo già recitando, non è così? Non c’è il pubblico, non c’è mai stato! Anche il pubblico fa parte della messa in scena!”
“Levi, ti prego…”

L’uomo avanzò fino al proscenio, con le spalle rivolte alla platea. Fissò la ragazzina dai capelli arruffati, con il trucco che colava dagli occhi e la bocca schiumante di saliva.
“Aisha, mia adorata Aisha.”
“Levi, stai attento a non cadere dal palco…”
“Non preoccuparti. È il Dio dei Cieli, il nostro pubblico. L’unico che avremo mai.”
E si lasciò cadere all’indietro.
Guardò il cielo, che era il teatro.
Rise.

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