Game of Thrones ci ha traditi?

Ci siamo, dopo dieci anni di serie televisiva e oltre venti anni di saga letteraria, una delle più importanti opere fantasy è giunta a conclusione: il finale di Game of Thrones è stato trasmesso la scorsa domenica da HBO, un fenomeno di massa che ha fatto appassionare milioni di fan in tutto il mondo e che ha cambiato per sempre il modo di fare serie tv (e di scrivere fantasy, forse). [ovviamente, seguiranno spoiler]

Non posso esimermi dal commentare: la saga di George Martin è stata una delle mie fonti di ispirazioni per Daemon Inside ed è entrata a buon diritto nell’olimpo dei fantasy a cui uno scrittore deve fare riferimento. Ho frequentato per anni il forum degli appassionati italiani di A Song of Ice and Fire, ho letto tutti i romanzi, ho partecipato a una memorabile cena con George Martin a LuccaComics 2005: volente o nolente, questo è un finale con cui devo scendere a patti. E lo dico da spettatore che non ha mai apprezzato pienamente la serie televisiva, perché, seppur fondamentale nel far raggiungere alla saga la sua fama internazionale, a mio avviso non è mai stata in grado di cogliere la complessità del mondo di Martin e la sua capacità di scrittura.

Ma veniamo a noi, perché il concetto che voglio affrontare è molto semplice, ma sarà complesso da sviscerare: il finale di Game of Thrones ha tradito i suoi fan? Nel corso delle ultime settimane abbiamo assistito da una parte agli sfoghi di tanti fan infuriati per il finale (addirittura da attivare una petizione che chiedeva di rigirare l’ottava e ultima stagione con degli sceneggiatori più competenti), dall’altra allo svilupparsi di innumerevoli meme sempre più geniali, segno evidente del successo di AGOT e del suo ingresso trionfale nella cultura pop.

Negli ultimi giorni ho avuto modo di leggere o ascoltare innumerevoli critiche al finale di stagione, perlopiù negative. Il sentimento che va per la maggiore tra i fan, a mio avviso, si articola in due lamentele principali: “Non è tanto cosa succede, ma come succede” e “Da quando la serie si è distaccata dai libri di Martin, è peggiorata notevolmente”. Il mio pensiero si allinea a questo sentimento generale: a mio avviso ci sono gravi pecche di sceneggiatura, rese evidenti e irreparabili nell’ottava stagione. Buchi di trama, incoerenze dei personaggi, eccessiva velocità nella risoluzione degli archi narrativi, incapacità di intensificare il conflitto e mancanza di empatia con i protagonisti, diventati burattini costretti a recitare un finale già scritto. Errori di scrittura, come dice il buon McKee, che lasciano gli spettatori insoddisfatti alla fine dell’opera.

Tuttavia, a mio avviso Game of Thrones non ci ha traditi. La serie televisiva ha compiuto degli errori di scrittura notevoli, ma hanno portato sullo schermo un finale che sarà, a parte i dettagli minori e il modo in cui ci arriviamo, lo stesso della saga letteraria (a parte ripensamenti di Martin dovuti alla rabbia dei fan, magari. Per esempio, non è detto che Bran abbia la stessa conclusione, o che la minaccia degli Estranei sia completamente debellata). Passata l’emozione del finale di serie, siamo finalmente capaci di scorgere il soggetto che sta alla base, che è lo stesso di Martin. Il materiale letterario copre le prime cinque stagioni, successivamente gli sceneggiatori hanno lavorato da soli, sulla base però del soggetto di Martin, quindi è plausibile comprendere la parte finale del grande disegno dell’autore sulla base di quanto accaduto nella serie tv.

La mia tesi è che il finale di AGOT sia pessimo, ma che attraverso di esso possiamo intuire il finale di ASOIAF che, complice la superiore capacità di scrittura di Martin rispetto agli sceneggiatori della serie tv, si configura come una degna conclusione della sua saga letteraria.

Anche Tyrion è stupito. Seguitemi, vi spiego meglio.

Mi spiego meglio: nelle ultime stagioni la narrazione ci stava delineando un certo tipo di finale, a cui tutti ci stavamo preparando. Ovvero, la lotta finale contro gli estranei. In questo senso tutto AGOT poteva essere letto così: “mentre la vanità dei potenti di westeros li porta a farsi guerra tra loro, una minaccia più grande arriva da nord e porterà un inverno eterno. Tuttavia i buoni della serie (gli Stark, Tyrion, Daenerys e altri personaggi minori) alla fine uniranno le forze e riusciranno a salvare l’umanità.” Non sarebbe stato un finale sbagliato, avrebbe risposto a tutte le regole narrative, avrebbe intensificato il conflitto fino a una battaglia epica e avrebbe portato a compimento tutti gli archi dei personaggi, distribuendo premi e punizioni, redenzioni e dannazioni. Ma forse questo è un finale epico che Martin ha sempre voluto evitare, con la sua ambientazione cruda e realistica che gli è valsa l’approvazione di tanti appassionati. Anzi, il suo intento era di smontare questa narrazione e costruirne una antagonista, più adatta allo spirito della sua saga. Infatti, gli Estranei vengono sconfitti a metà dell’ultima stagione (come avviene non è importante, adesso) e il conflitto si sposta sulla guerra per il trono tra Cersei e Daenerys, con quest’ultima che vince ma diventa a sua volta una minaccia ancora più grande.

Ecco, questo è il finale che mi aspetto da Martin, che decostruisce la tesi precedente. In questo senso tutto AGOT può essere invece letto così: “neppure una minaccia immane come gli Estranei è in grado di estinguere la vanità degli uomini che continuano a farsi la guerra per il trono, anche dopo aver salvato il mondo.” Questa sì che è una lettura critica della politica odierna, in cui neppure la minaccia del riscaldamento globale è in grado di unire gli Stati in uno sforzo comune. Questa sì che è una lettura del mondo narrata da un fantasy crudo e realista, che non accetta toni epici.

In questo senso, le scelte del finale hanno perfettamente senso. Il conflitto finale non è tra Jon e Daenerys, tra amore e dovere: questa è una scelta compiuta dagli sceneggiatori per concludere un colosso da 12 milioni di spettatori (che diventano dieci volte tanto fuori dagli USA) che ha coinvolto persone che di fantasy non vogliono neppur sentire parlare. Il conflitto finale è tra l’umanità e il Trono di Spade, il vero villain di tutta la serie. Un conflitto risolto, come da tradizione teatrale, da un Drogon Ex Machina.

“A Song of Ice e Fire” non è una storia di eroi buoni che utilizzano il fuoco per sconfiggere la minaccia del ghiaccio. È una storia di persone con i loro pregi e i loro difetti, più o meno buoni e più o meno cattivi, che si trovano ad affrontare le due minacce più grandi del Continente Occidentale: il ghiaccio (gli Estranei) e il fuoco (Daenerys). Nel finale, il discorso da gerarca nazista della regina Targaryen non fa forse presagire a un futuro di terrore per l’umanità, pari a quello prospettato dagli Estranei, con il fuoco al posto del ghiaccio?

Questa è sempre stata la scrittura di Martin, questa è sempre stata la sua modalità di vedere il mondo e di raccontarlo nella sua saga fantasy. È un mondo in cui esistono le profezie (come nei classici fantasy di taglio epico) ma in cui non si realizzano mai completamente. Ognuno vede in esse ciò che vuole (il meteorite ne è un perfetto esempio), e le azioni dei personaggi guidati dalle loro ideologie possono portare a profezie che si auto-avverano. Ma il fantasy di Martin è post-moderno, non esistono autorità superiori che possono risolvere tutto, esistono soltanto creature (anche magiche) con diversi gradazioni di poteri che competono in continuazione per soddisfare i propri desideri, in cui sono possibili atti di eroismo ma non di super-eroismo (e la serie televisiva tradisce nella maniera più completa la saga letteraria quando trasforma i personaggi in super-eroi capaci di distruggere orde di nemici e sopravvivere a qualsiasi avversità).

La differenza di talento tra Martin e gli autori della serie televisiva è evidente, a mio avviso. Daenerys ne è il caso esemplare: il suo percorso lasciava presagire la tirannia fin dal primo romanzo. Ciò che Tyrion afferma nell’ultimo episodio di stagione sul modo di comportarsi della regina Targaryen, è quello che i lettori come me avevano sempre sostenuto fin dal primo libro. Martin è stato capace di farcelo intuire, con il suo talento narrativo; gli sceneggiatori no, e hanno lasciato gli spettatori perplessi e confusi, con la sensazione diffusa di essere stati traditi.

Eppure, io credo che il fallimento della serie televisiva, dal punto di vista della capacità narrativa di portare a termine gli archi dei propri personaggi e di dare coerenza interna alle svolte finali della trama, nasconda in realtà un soggetto che rende onore alla saga di ASOIAF. Se il soggetto di Martin è quello che ci ha fatto intuire il finale di AGOT, allora la saga non ci ha traditi, anzi, ci ha donato la conclusione più consona al suo spirito. Ma per poterne godere, purtroppo, toccherà aspettare i romanzi, e dimenticare al più presto la serie televisiva.

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