Gospel: Khotan, III sec. – Capitolo 2

The Gospel according to All – Nona Vita

Khotan, III secolo d.C.

taklamakan

II.

Avevo tredici anni, quando i predoni giunsero da ovest. Una nube si sollevò dal deserto, mentre i cavalli galoppavano verso la nostra fattoria. Non dovettero attendere la notte, per attaccarci. La lancia di mio padre non poté nulla contro le spade dei tocari.

Erano in venti, con le barbe lunghe e i capelli sporchi. Portavano i tesori saccheggiati nelle oasi lungo la via della seta, teste di uomini mozzate e turbanti colorati. Urlavano in una lingua che non era la nostra, ma ricordava quella dell’impero Kushan. Le loro spade infilzarono il corpo di mio padre, prima ancora che potesse tentare di accoglierli con la sua ospitalità.

Il villaggio di Melikawat era lontano, e nessuno poteva aiutarci. Mi madre gridava e piangeva, mentre i cani abbaiavano furiosamente. I predoni uccisero anche le bestie, poi circondarono la fattoria.

Mio fratello e sua moglie vennero presi mentre tornavano dai pascoli e furono sgozzati senza pietà nel cortile. Le capre provarono a scappare via, ma molte vennero catturate dai predoni per il banchetto serale. Mia madre cercò di sbarrare le porte con delle assi, ma venne centrata in piena fronte da un dardo di balestra.

Io gridavo e piangevo, senza poter far nulla. Osservavo la mia famiglia che veniva massacrata, aspettando il mio turno, imponendomi di non dimenticare.

Mia sorella, che aveva sempre avuto timore degli stranieri, non si spaventò. Allentò un’asse di legno dalla cucina, che rivelò un piccolo incavo tra le scale per la cantina e il pavimento.

“Nasconditi qui!” mi disse.

Io non riuscivo a smettere di piangere. Lei mi spinse nel buco, strattonandomi con forza. Poco più di un metro di lunghezza, e qualche centimetro di larghezza. C’entravo a malapena, sdraiandomi di lato e piegando le gambe.

“E tu?” le chiesi.

“C’è posto solo per te. Tu sei più piccola. Non ti vedranno, se rimani nascosta.”

“Nasconditi anche tu!”

“Non posso. Mi hanno vista.”

“Ma…”

“Tu sei piccola. Salvati, e ricorda.”

Mia sorella richiuse l’asse di legno sopra di me. Il buco era pieno di ragni e di terra. Mi lamentai, piagnucolando il nome di mia madre.

“Fai silenzio, o ti troveranno! Devi stare zitta, e immobile. Non ti muovere. Non ti muovere finchè non se ne saranno andati.”

Obbedii. I predoni sfasciarono la porta e sciamarono dentro la casa come locuste affamate. Non vidi cosa successe, ma sentii le grida di mia sorella. La uccisero molte ore dopo.

Nel buco non faceva freddo, ma soffrivo. Le gambe attorcigliate, il petto costretto, la gola riarsa. Morsi la terra per non ansimare. Dalle fessure tra le assi filtrava il sangue delle capre e l’urina dei predoni. Rimasi in silenzio, immobile.

Rimasero nella nostra fattoria per tre giorni. Saccheggiarono i vasi di terracotta, le provviste, persino i nostri giocattoli. Distrussero le piante di gelso e i recinti di legno. Banchettarono fino a tarda notte, mentre mia sorella piangeva e gemeva, e io rimasi immobile tra i ragni e la terra.

Il terzo giorno ripartirono verso est, portandosi dietro le capre rimaste. Io provai ad uscire dal buco, ma non mi sentivo più le gambe. Riuscii ad alzare l’asse con la testa, mentre un’esplosione di dolore mi percorreva tutta la schiena. Mi trascinai fuori, annaspando.

Non feci neppure caso al corpo nudo di mia sorella sul tavolo, o al cadavere di mio padre infilato nel camino. Strisciai fino al pozzo e bevetti per ore, gemendo e piangendo.

Ero rimasta ferma, ed ero viva.

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