Morte di un artista

Eppure, ve lo avevo detto.
Che un autore non dovrebbe sopravvivere alla propria opera, come un padre non dovrebbe sopravvivere al figlio. Non ho mai avuto intenzione di vivere più del necessario e ho sempre provato scarso interesse per i tentativi di dilatare innaturalmente la durata dell’esistenza. Ciò che le nuove divinità della medicina ci promettono è un allungamento della vecchiaia, non della vita.

Non è mai stata la morte a spaventarmi, bensì la vecchiaia. L’idea di non essere più capaci di badare a sé stessi, di diventare un peso per gli altri, di perdere la condizione di autore o di artista, di smarrire la capacità di guardare al mondo con curiosità.

Eppure, ve lo avevo fatto capire.
Che ho sempre trovato affascinante l’eutanasia artistica di chi abbandona la vita al momento giusto, lasciando le proprie opere dietro di sé. L’arte ci sopravvive, l’arte continua a vivere al posto nostro, ed è giusto che sia così. Come un figlio che porta avanti le opere del padre, con la consapevolezza che sarà qualcosa di diverso, che il sentiero tracciato non sarà necessariamente quello seguito, che la sua libertà non ti apparterrà mai.

Perché nella morte non può esservi giustizia né ricompensa, ma solo nelle vite degli altri, e l’arte è l’unico mezzo che abbiamo per toccarle, anche solo per un momento.

Eppure, ve lo avevo scritto.
Che tutti i miei idoli sono morti e mi hanno lasciato da solo, perché solo con la morte hanno reso giustizia alla loro arte, attraverso le vite degli altri. Quando un autore ha terminato ciò che aveva da dire, è come se fosse già morto. Trascinare il corpo nella vecchiaia, quando la mente non funziona più, non è un dono, ma una condanna.

Per questo non permetterò alla vecchiaia di intaccare la mia arte, ma le lascerò soltanto la mia vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.