Perché sono felice di Skam Italia

Inizialmente non avevo apprezzato la sua ossessione verso l’amore e i drammi giovanili: ma d’altronde Skam Italia è un teen drama e come tale mette al centro della narrazione i problemi della delicata fase dell’adolescenza. E lo fa talmente bene da scatenare la nostra empatia, sia che quei problemi appartengano al nostro presente, sia che appartengano al nostro passato (“sono solo ragazzi, sì, ma mica sono stupidi“).

In breve: Skam Italia è la versione italiana di una serie televisiva norvegese che ha avuto numerosi adattamenti locali e che racconta le vicende di un gruppo di liceali alle prese con i tipici problemi dell’adolescenza, ovvero i primi amori, i litigi coi genitori, le dinamiche di gruppo e le pressioni sociali. Le stagioni (potete trovarle su Netflix o TIM Vision) sono incentrate su personaggi diversi del gruppo e mescolano sapientemente gli episodi televisivi alle micro-narrazioni svolte sui social network. Apparentemente, potrebbe sembrare l’ennesimo sceneggiato televisivo di cui non avevamo bisogno; il risultato, invece, è quello dell’unico teen drama italiano che non potete assolutamente perdervi.

Skam Italia racconta l’adolescenza in maniera realistica, e lo fa qui e ora, affrontando la generazione Z nell’Italia del 2020 con coraggio e speranza. Non eccede nelle visioni patinate delle serie californiane, né ricerca l’eccessiva crudezza del racconto degli emarginati; non si sofferma nel politically correct e non si limita a celebrare gli outcast. Skam Italia vuole raccontare la normalità intesa come minimo comune denominatore della nostra adolescenza, mettendo al centro i problemi sociali e personali che più o meno tutti, più o meno in parte, abbiamo vissuto. E lo fa trascinando al suo interno anche tutti quegli emarginati che la televisione generalista tende a lasciare fuori, perché considerati scomodi (alla Generazione X, forse, ma non alla Generazione Z). Ne sono la dimostrazione le stagioni dedicate a Martino e a Sana, gli splendidi e teneri racconti degli innamoramenti giovanili di un ragazzo alle prese con il suo coming out e di una ragazza musulmana alle prese con la sua fede.

Il grande merito di Skam Italia è stato quello di raccontare in maniera diretta e autentica le comuni problematiche e le aspirazioni di una giovane generazione che non possiamo più fingere di non vedere, neppure in Italia. E la sua forza è quella di unire tutte queste storie, rendendole, appunto, normali. La storia di un ragazzo gay alle prese con le difficoltà causate dall’accettazione da parte degli altri, sarebbe stata soltanto quella singola storia di quel singolo tema: ma, in questo modo, diventa parte di una narrazione corale e condivisa, in cui viene normalizzata e resa parte di tutti noi, anche se non viviamo lo stesso problema. Intessute in mezzo alle vicende amorose che sarebbero state maggiormente accettate dalla televisione dei nostri genitori o nonni, anche quelle degli emarginati non sono più tali. Skam Italia diventa così una narrazione inclusiva, con il merito di farci comprendere che ciò che ci unisce è più bello e forte di ciò che ci divide. Per certi, versi, è una versione leggermente migliore della realtà, ma è un futuro a cui possiamo legittimamente aspirare.

La quarta stagione di Skam Italia, che per via delle difficoltà di produzione ha rischiato di non vedere mai la luce, affronta la storia di Sana, italiana e musulmana, praticante per scelta. Il focus della narrazione non è il giudizio (positivo o negativo che sia) sulla fede, ma sulle difficoltà vissute dalla ragazza alle prese con i primi amori: le tensioni sociali e personali tra i genitori e i figli, le difficoltà con gli amici, il costante sentimento di non sentirsi mai abbastanza:

“Io non vi sopporto, non vi sopporto quando fate casino e non mi fate studiare e non capite che l’unico modo che ho per essere accettata in questo paese è studiando e lavorando quattro volte più di voi, e comunque non basterà. Non sopporto mio fratello che beve, scopa in giro, non fa il digiuno, e in casa non gli dice niente nessuno perché è maschio. I miei genitori non li sopporto, perché fanno tanto i progressisti, però poi si preoccupano solo di quello che dice la comunità. Detesto i professori, che mi trattano in modo accondiscendente e tutti quelli che i primi anni di liceo mi bullizzavano sui social, fregandosene che potessi starci male. Non sopporto anche le mie amiche musulmane, che mi giudicano e mi fanno sentire sbagliata solo perché non mi chiudo come loro nel centro islamico, ma invece provo a fare tutte le cose che fanno le ragazze italiane. Forse le detesto perché hanno ragione. Io non sarò mai come voi, non sarò mai abbastanza araba, o musulmana o islamica… forse non sarò mai abbastanza niente. Sarò sempre un piccolo incrocio venuto male pieno di rabbia verso gli altri.”

Questa è la potenza narrativa di Skam Italia: lo sfogo degli ultimi episodi di Sana, nel punto più basso del suo arco narrativo prima del finale positivo (come è ovvio, per una serie di questo tipo) non è il problema di una musulmana, di una lesbica o di una delle altre categorie che la società italiana si sforza di voler escludere. Questo è il problema di un adolescente, e come tale ci include tutti, perché racconta la cosa che più ci accomuna: sentirci fuori posto nella fase più delicata della nostra vita, nella fase di crescita e di scoperta del mondo e di noi stessi. Una fase che, pensandoci bene, dura quanto la vita stessa.

Per concludere, ritengo che avessimo bisogno di una serie come Skam Italia. Perché abbiamo bisogno di raccontare e di rappresentare in maniera autentica ogni parte della nostra società, e la lettura delle problematiche attraverso la fase dell’adolescenza è quella che maggiormente ci può aiutare a essere più inclusivi e comprensivi.

In una delle scene più toccanti del finale di stagione, di fronte alla confessione delle difficoltà di Sana di relazionarsi con gli altri, su questioni critiche come il velo o l’amore, Martino si difende: “Però capisci che noi molte cose non le sappiamo… nessuno ce le spiega”. Ed è proprio attraverso l’empatia scatenata dalle opere d’arte o dalle finzioni di narrativa che possiamo recuperare quell’aspetto inclusivo della nostra realtà, dal momento che viviamo immersi continuamente in un’attualità fatta di notizie che ci dividono, in un’incessante rabbia che ci isola. E non dite che non ce n’era bisogno.

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