Solidariety

Il boato della folla, le luci che inondano il palco, le braccia che schizzano in alto. Un’ondata di emozioni che avvolge tutta la platea, come una marea.
Sandrino pregustava già quelle emozioni. Sentiva il cuore palpitargli in gola.
“Questo è il mio momento – diceva – Sta per arrivare il mio momento!”
Incrociava le braccia al petto e manteneva il sorriso smagliante sul volto, cercando di mascherare il nervosismo. Si controllò nuovamente l’abito, la giacca finemente intessuta dai migliori sarti del suo paese, la cravatta regalata dalla figlia, l’orologio vinto a poker dal dottore.
“Ci siamo quasi!” diceva, stringendo i pugni.
L’assistente alla produzione gli intimò di rimanere dietro la linea. Sandrino non si era neppure accorto di aver superato la riga bianca che delimitava lo spazio dei concorrenti. L’uomo dai folti baffi gli fece un cenno scorbutico con la mano, poi tornò a parlare freneticamente all’auricolare.
Davanti a Sandrino c’erano le tende tirate del sipario. Fuori, il palco più importante della sua carriera. La folla batteva le mani e si esibiva in ondate di risate, applausi, fischi e sberleffi.
“Quest’anno non posso fallire.” diceva Sandrino.
Il cellulare nella tasca continuava a vibrare. Notifiche, chiamate, messaggi. Richieste su richieste. La modalità silenziosa non bastava: Sandrino tolse direttamente la batteria. D’altronde, lo staff della produzione era perfettamente in grado di scattare foto e pubblicare contenuti sul web al posto suo. Non c’era bisogno di altre distrazioni, non in un momento così importante.
Dall’altra parte del sipario si alzò un grido, forte come un tuono.
“Benvenuti, signore e signori, alla 13° edizione di Solidariety!”
Marvin, il presentatore. Una voce potente, inconfondibile. Sandrino lo ammirava, quasi al punto di invidiarlo. Lui aveva dovuto affrontare un corso di dizione, un workshop di respirazione e addirittura un seminario accelerato di teatro e canto, per migliorare la sua voce, ma non era comunque all’altezza del presentatore più famoso della televisione.
“Ma non è un problema – sosteneva – Le mie azioni parleranno al posto della mia voce. Questo è il mio anno.”
Sul palco del teatro si sentivano le voci del presentatore e della folla. Le casse risuonavano di un motivetto dapprima allegro, poi triste, infine melanconico. Il momento stava arrivando, e Sandrino si sentiva sempre più teso. Le quinte del teatro erano spaziose, pulite e ordinate, ma erano suddivise in compartimenti. Lui aveva scelto il corridoio numero tre, per scaramanzia.
“Come ogni anno – diceva – Sempre il tre. Ma non è questo numero a portarmi sfortuna.”
Tre come i suoi figli. Tre come le volte in cui gli elettori lo avevano acclamato. Tre come le notti in cui aveva sognato vividamente la vittoria, tanto da bagnare il letto.
“Questo è l’anno buono – ripeteva – Questo è l’anno buono.”
Non l’anno prima, in cui era stato battuto in finale da quella stupida ballerina senza talento, ma con un bel davanzale e un’associazione di bambini malnutriti da sfamare. Non come due anni prima, in cui le vittime dello tsunami avevano giocato un ruolo fondamentale nella scelta del vincitore. E non certo come tre anni prima, in cui nessuno avrebbe mai potuto battere gli orfani ciechi che lavoravano al mercato del pesce.
Questo era l’anno buono. Sandrino lo sapeva, e si era preparato a dovere. Si passò una mano tra i capelli, dopo una rapida specchiata; non erano più folti come un tempo, ma gli conferivano un certo fascino. La mascella squadrata, gli occhi vivaci, la bocca pronta a contrarsi in un sorriso, in un broncio oppure in una smorfia. La sua faccia era pronta a partecipare a quella sfida: la sua faccia, tutto il talento che aveva.
Dall’altra parte del sipario, Marvin terminò le presentazioni. Il boato della folla fece sobbalzare il cuore di Sandrino. Le luci si abbassarono, e la musica malinconica testimoniò l’inizio del video promozionale. L’assistente di produzione gli mise tre dita davanti, bruscamente.
“Trenta secondi all’entrata.”
Poi tornò a parlare all’auricolare e a muoversi su e giù per le quinte.
La musica si fermò, seguita da un lungo applauso. Marvin annunciò il suo nome, e Sandrino fu pronto a salire sul palco.
“Signore e signori, date il benvenuto a Sandrino Bemoccoli, sindaco di Porto Murato!”
Primo gradino, un boato.
Secondo gradino, un secondo boato.
Terzo gradino, un boato ancora più forte.
L’ingresso sul palco fu come un’orgasmo. Le luci che inondavano il teatro, le braccia che schizzavano in alto, la folla che lo avvolgeva con un’ondata di emozioni, come una marea implacabile. Ma era il modo più bello di affogare: il piacere dato dall’amore della folla, il potere dato dall’acclamazione del pubblico.
Sandrino non disse nulla, per molti secondi. Si limitò a salutare la folla che lo acclamava, esibendo il suo migliore sorriso. Si mosse lungo il palco, come sospinto da un’onda di marea. Prima qualche passo in avanti, per stringere le mani del pubblico più vicino. Poi qualche passo indietro, per salutare con la mano alzata le persone stipate in fondo alla sala. Quindi altri passi in avanti, più al centro: un’altra stretta di mano, un bacio lanciato a un bambino. Di nuovo indietro, portando una mano alla bocca per contenere l’emozione e facendo luccicare gli occhi. Poi di nuovo avanti, altre strette di mano. Infine di nuovo indietro, salutando con entrambe le mani alzate.
“Di nuovo una finale, Sandrino – disse il presentatore – Grazie per essere tornato in mezzo a noi!”
Sandrino non si ascoltò neppure, mentre gli rispose. Le parole gli uscivano meccanicamente dalla bocca, una dopo l’altra. Nulla che avesse realmente importanza, nulla che non fosse già stato preparato con cura dai suoi addetti stampa e dai suoi responsabili elettorali. Sandrino parlava, ma non si ascoltava. Si limitava a prestare attenzione al cuore che gli batteva all’impazzata, a osservare i volti della folla festante e a contrarre i muscoli della faccia.
“Non troppo sorridente – si ripeteva – non troppo imbronciato. Una gioia contenuta e rispettosa.”
Non era arrivato fino a quel palco per potersi permettere un altro fallimento. Non era arrivato dove si trovava, senza pianificare con serietà e attenzione ogni sua mossa; ogni sua espressione, ogni sua risata, ogni suo saluto. E ogni sua parola, ovviamente, imparata alla perfezione e messa in scena più volte, per apparire spontanea e autentica.
“Un altro applauso per Sandrino!” gridò Marvin.
E la folla rispose con un’immenso boato. Sandrino alzò le braccia al cielo, emozionato. Non era arrivato lì per caso, e voleva godersi pienamente quel momento. Dopo essere stato eletto come sindaco per due volte con il 90% dei voti, dopo la sua esperienza come Presidente della Commissione per la Corretta Gestione della Spesa Pubblica, dopo la collaborazione ministeriale con la Bicamerale per la Garanzia della Legalità Protocollare, dopo le proposte di legge per il Rispetto dei Diritti dei Bambini e per la Tutela della Sicurezza Sanitaria Animale. Nulla poteva definirsi casuale nella sua carriera: ciò che aveva fatto, lo aveva meritato e conquistato. E quest’anno era pronto a fare di più.
Il presentatore calmò la folla con un gesto, stringendo il microfono come un’arma. Alzò la mano e sorrise, scandendo con attenzione le parole.
“Ma c’è uno sfidante, come ben sapete. Uno sfidante agguerrito, che ha raggiunto con merito la finale. Andiamo a conoscerlo!”
Le luci in sala si spensero. Il teatro attese in religioso silenzio l’inizio del video di presentazione, mentre dalle casse si diffondeva un lieve motivetto romantico.
Sandrino incrociò le braccia al petto, cercando di nascondere il nervosismo. L’enorme schermo sopra il sipario cominciò a proiettare le immagini di un uomo con il casco protettivo sulla testa. Un uomo che stringeva mani, che tagliava nastri, che controllava la solidità delle travi. Un uomo alto e robusto, anche se un po’ avanti con gli anni, che abbracciava gli operai e baciava i bambini. Un uomo che con la sua azienda aveva garantito lo sviluppo di quattro regioni, venticinque province e diecimila quartieri.
“Signore e signori, Danny Maccarone!” gridò il presentatore.
Il sipario si aprì nuovamente, e l’uomo con il casco in testa salì sul palco. La folla lo acclamò con un poderoso boato. Danny rideva e salutava. Le telecamere gli ronzavano attorno come mosche, le luci proiettavano la figura al centro della scena.
“Dilettante. – commentava Sandrino – Sorride troppo. Dilettante.”
La folla applaudiva, rombava, acclamava. Come una marea, le loro emozioni fluivano sul palco. Sandrino si sentiva pronto: si era preparato a lungo per questo scontro. Aveva studiato ogni dettaglio, aveva pianificato ogni mossa con il suo staff. Troppe volte era stato costretto a cedere la vittoria all’ultimo momento, troppe volte era stato battuto in finale dagli altri sfidanti, troppe volte aveva sfiorato il successo. Ma questo era l’anno buono, e lo sapeva.
Le telecamere roteavano attorno a loro, come uno sciame ordinato e complesso che obbediva a una mente alveare, una regia impegnata a soffermarsi sulle espressioni dei volti e sulle emozioni scaturite dagli sguardi dei protagonisti.
Marvin attirò l’attenzione su di sé, impugnando il microfono come un re mostra il suo scettro.
“Eccoci al momento tanto atteso! Iniziamo da te, Sandrino. Cosa ci hai portato?”
Sandrino attirò a sé il microfono e piantò gli occhi sulla telecamera più vicina. Increspò le labbra in un’espressione seria, e mantenne un tono di voce basso.
“Il terremoto, signore e signori. Il terremoto.”
Buio in sala. Con le luci spente e il pubblico in trepidante attesa, il maxischermo cominciò a proiettare le immagini che lo staff di Sandrino aveva mandato alla produzione dello show.
Un video di immagini strazianti ed emozionanti che ripercorrevano le vicende del terremoto di Reggio Filussi di qualche mese prima: le rovine delle abitazioni completamente crollate, i bambini che piangevano in mezzo alle macerie. Un vecchio che scavava tra i detriti, un cane sporco di fango, un campanile distrutto. E poi i primi piani dei ragazzini costretti a vivere nelle tende, le bambole che spuntavano dai resti di una casa, i banchi di una scuola rasa al suolo dal potere distruttivo della natura. Immagini senza musica, dall’impatto potente e disturbante. Fino a sfumare in delle lievi note di speranza, un pianoforte in lontananza che saliva d’intensità: il volto di Sandrino che si aggirava per le macerie, che stringeva mani, che aiutava un vecchio a rialzarsi. Sandrino con l’imbracatura che recuperava una bambola dalle macerie, Sandrino che puliva un crocifisso, Sandrino che batteva un chiodo col martello, Sandrino che sorrideva assieme a un bambino.
L’immagine sfumò, la musica terminò in un crescendo di archi. Le luci tornarono in sala, e il pubblico si esibì in un immenso boato. Uno scrosciante applauso accompagnava lo sguardo serio e composto di Sandrino, che si concedeva a un breve inchino al pubblico.
Marvin recuperò il controllo, col microfono in mano.
“Splendide immagini, Sandrino. La furia del terremoto non ha intaccato lo spirito delle popolazioni durante colpite, e la grande prova di solidarietà ha dimostrato quanto sia importante andare avanti dopo le tragedie.”
Sandrino rispose con delle frasi perfettamente studiate, che non ascoltò neppure. Si concentrò a spostare lo sguardo lucido da una telecamera all’altra. Doveva sembrare sul punto di piangere, ma senza farlo davvero.
“Che cosa ci hai portato, quindi?” lo incalzò il presentatore.
“Ecco la donazione!” esclamò lui, guidando con la mano lo sguardo del pubblico verso il sipario.
Le tende si aprirono nuovamente e due vallette entrarono sul palco, reggendo un enorme assegno. Sopra vi erano stampate le cifre di dieci milioni e trecentomila euro, assieme al logo e alla firma della Fondazione Benefica Bemoccoli.
“Questa è la cifra che abbiamo raccolto nel corso delle ultime settimane con la fondazione, grazie al lavoro di tanti volontari. Andranno a finanziare un progetto a favore della popolazione di Reggio Filussi. Con questa somma potremo donare dei nuovi banchi alla scuola, restaurare il campanile della chiesa e costruire una cuccia per ogni cane rimasto senza casa, accanto alle case in legno delle vittime del sisma. Perché le catastrofi possono distruggere la materia, ma non possono intaccare il nostro spirito!”
Dalla folla salì un applauso scrosciante. Come un rombo di tuono, il pubblico si alzò in piedi e riempì il teatro di incitamento e tripudio. Sandrino fece un altro inchino, con gli occhi lucidi.
Marvin alzò il microfono verso il cielo, per incitare ancora il pubblico. Le luci si mossero ritmicamente tra il palco e la platea, mentre l’onda di emozione contagiava tutti. Alla fine, sul maxischermo apparve un termometro. La colonna rossa cominciò a salire, su e ancora più su, fino a raggiungere l’apice. Il numero 95 si impresse a tutto schermo, seguito da un motivetto trionfante.
“Ecco qua, signore e signori! – commentò Marvin – I nostri bravissimi tecnici hanno incrociato l’apprezzamento del pubblico in sala con quello proveniente dai social network. La prova di Sandrino ha totalizzato uno strabiliante punteggio di 95!”
Ancora applausi, ancora inchini. Sandrino non stava più nella pelle: aveva raggiunto un punteggio altissimo, più alto dell’anno i cui aveva presentato il progetto per i reparti di oncologia infantile. Sapeva che questo sarebbe stato il suo anno, e il successo era alla sua portata.
Marvin frenò il suo entusiasmo, recuperando il controllo dello show con il microfono.
“Come sapete, è ancora presto per gioire! Adesso è il turno dello sfidante. Danny, che cosa ci hai portato?”
L’attempato imprenditore si aggiustò il colletto della camicia e si schiarì la voce. Il caschetto protettivo sulla testa rifletteva la luce sulle telecamere che gli giravano attorno.
“Vi porto in Africa, signore e signori. In Africa.”
Di nuovo buio in sala. Il maxischermo cominciò a proiettare le immagini di una provincia deserta dell’Africa centrale. Il tenue accompagnamento di un pianoforte faceva da sottofondo a una voce narrante che spiegava la povertà del villaggio sorvolato dal drone. Le capanne di legno costruite in mezzo al fango, i campi incolti, il deserto che avanzava e le foreste sempre più lontane. E poi i bambini che giocavano nella sporcizia, le bambine coi sorrisi sdentati, i ragazzi più grandi portati a combattere dalle milizie contro non si sa quale nemico. Un montaggio di visi coperti dal fango e dalle mosche, poi un fermo immagine sui cadaveri di alcuni bambini abbandonati in una fossa comune. Per finire, una donna smunta circondata da dieci bambini con le pance gonfie sul pianerottolo di una capanna distrutta.
Al termine del video, la folla proruppe in un lungo applauso.
Sandrino scosse la testa.
“Troppo impegnato, troppo didascalico. – commentava – E poi, i bambini africani non vanno più di moda.”
Marvin chiese a Danny Maccarone quale fosse il suo progetto. L’imprenditore tirò fuori dalla giacca un assegno da trenta milioni di euro.
“Il progetto che la mia azienda intende donare è questo: la costruzione di un ospedale e di un asilo. Aiuteremo i bambini a reperire le cure necessarie e a studiare, in modo da sollevarsi dalla povertà.”
Un altro boato, un altro applauso.
Danny salutò il pubblico con un sorriso, mentre Sandrino si esibiva in un applauso di circostanza.
Sul maxischermo apparve il termometro: la linea rossa continuava a salire, sempre più su. A ogni livello superato, Sandrino sentiva il cuore che gli saliva sempre più in gola. Teneva gli occhi fissi sullo schermo, mentre le gocce di sudore gli imperlavano il viso. La linea rossa si fermò al punteggio di 87.
A Sandrino si fermò il respiro per un attimo. Poi, tutto si fece annebbiato. I suoni gli giunsero ovattati, la marea lo avvolse con un dolce abbraccio.
“Signore e signori! – annunciò Marvin, con tono trionfale – Il vincitore della 13° edizione di Solidariety è Sandrino Bemoccoli!”
Le casse diffusero la festosa melodia della vittoria, mentre il pubblico si esibiva nell’ennesimo applauso.
Sandrino si lasciò sfuggire qualche lacrima.
“Ce l’ho fatta! – esclamò – Questo è il mio anno! Il successo, il trionfo!”
Si apriva finalmente una carriera da parlamentare, forse addirittura in qualche ministero. Si spalancavano le porte del governo, degli appalti, dei palchi più prestigiosi. Si schiudeva un futuro più radioso, un successo più che meritato.
“Signore e signori, ancora un applauso a Sandrino! Grazie per la tua generosità, grazie per la tua solidarietà!”
Il boato della folla, le luci che inondano il palco. Le braccia che schizzano in alto. Un’onda di emozione che avvolge tutta la platea, come una marea.
E Sandrino che piange di gioia.

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