Storia breve di un gol di Del Piero

Chiunque conosca il calcio anche in maniera superficiale può capire quale significato possa aver avuto Alessandro Del Piero per la storia della Juventus. Quasi vent’anni di carriera in uno dei maggiori club sportivi internazionali, record di presenze e di gol segnati, decine di trofei vinti tra gli scudetti, la Champions League e il Campionato Mondiale del 2006.

La sua è una carriera che non ha bisogno di presentazioni: apprezzato dentro e fuori dal campo, Del Piero si è sempre contraddistinto per il suo stile sobrio e pacato, un pò british e un pò sabaudo, lontano dalle riviste patinate e dai riflettori del gossip.

Per questo motivo, non penso che si offenderà, se questa storia non parla di lui. Questa storia, infatti, parla di mio nonno.

Nato a Cortona nel 1928, Banini Angiolo è stato mezzadro per più di quarant’anni in Valdichiana. Anche quando la mezzadria è definitivamente cessata, ha continuato a lavorare nei campi e nelle stalle del bestiame fino alla pensione. Una tipica vita di sacrificio e di lavoro contadino, culminante con la costruzione di una casa di proprietà agli inizi degli anni ’80, sogno comune di tutti coloro che hanno vissuto le difficoltà della mezzadria.

Angiolo era mio nonno paterno e io ho vissuto assieme a lui per quasi trent’anni. Perchè la mia famiglia ha portato avanti i modelli sociali della mezzadria, volontariamente o no. I fratelli dei mezzadri si sono divisi nei rispettivi nuclei familiari, ma hanno costruito abitazioni adiacenti o hanno mantenuto stretti legami di solidarietà e di prestazioni gratuite. Mia madre è andata ad abitare nella casa del marito, dove per vent’anni hanno convissuto tre diverse generazioni.

Anche quando sono uscito di casa, non ho scelto la strada internazionale che più si confaceva al mio curriculum antropologico, bensì sono rimasto nelle vicinanze, fino a trasferirmi a pochi chilometri di distanza dalla mia famiglia. La neolocalità tipica del modello familiare mediterraneo si intreccia a una situazione che ricorda la famiglia allargata mezzadrile.

Mio nonno non abitava con noi. Eravamo noi ad abitare nella casa di mio nonno, costruita dopo anni di sacrifici nei campi. Eravamo un unico nucleo familiare, anche durante la mia vita di studente universitario.

Quando mio nonno è morto, lo scorso anno, non è stata la morte di un parente: è stata la morte di un familiare. È stato il primo a morire all’interno di quella casa, del mio nucleo familiare più ristretto. Le decine di parenti, amici e conoscenti che hanno affollato la camera mortuaria in quel giorno portavano con loro il ricordo della mezzadria, di un passato non ancora dimenticato. La morte di mio nonno è stata anche la morte di uno degli ultimi mezzadri, uno dei reduci di un modello agricolo ormai scomparso.

Banini Angiolo è morto l’11 aprile 2012, un mercoledì pomeriggio, da tempo malato di enfisema polmonare, tanto che negli ultimi mesi era solito passare sempre più tempo in ospedale, finché i polmoni non hanno retto più. L’11 aprile 2012, lo stesso giorno della partita di calcio Juventus-Lazio, 32° giornata del campionato italiano di calcio 2011-2012.

A chi segue il calcio in maniera più superficiale, forse, questa partita non susciterà alcun ricordo. Per gli appassionati di questo sport, invece, si tratta di una partita fondamentale per lo scudetto 2012. Siamo nelle fasi cruciali di un campionato che ha visto combattersi Juventus e Milan in un testa a testa emozionante. Da una parte la squadra rossonera, guidata da un prolifico Ibrahimovic, che ha già vinto il campionato nell’edizione precedente; dall’altra la squadra bianconera, che sta uscendo dagli anni bui del dopo Calciopoli, senza trofei nè soddisfazioni. La Juventus è guidata da un giovane allenatore e storico capitano come Antonio Conte, mette in campo un mix di talenti e di calciatori esperti e stupisce i suoi tifosi con un gioco offensivo e spettacolare.

In questa squadra Del Piero fatica a trovare spazio. Alex ha dalla sua un’esperienza invidiabile, ma un’età non più adatta a competizioni così estenuanti. Nelle gerarchie dell’allenatore è ormai stato sorpassato dai più giovani Vucinic, Matri e Quagliarella.

Eppure, Del Piero non vuole ritirarsi. Anche se la società, guidata nuovamente da un Agnelli, ha già dichiarato di non volergli rinnovare il contratto. Anche se ormai le sue gambe non reggono più i novanta minuti, anche ormai segna pochi gol. Del Piero non vuole ritirarsi. Sembra il protagonista di “Sunset Boulevard” di Elio e le Storie Tese, che si rifiuta di appendere le scarpette al chiodo.

La volata finale del campionato di calcio 2012 non permette ai contendenti di perdere tempo dietro alle fissazioni delle vecchie glorie. La Juventus aveva superato il Milan in classifica pochi giorni prima, dopo un difficile periodo in cui aveva visto il titolo allontanarsi; nelle ultime giornate aveva bisogno di un filotto di vittorie per assicurarsi lo scudetto. Il mister non poteva permettersi di perdere tempo con Del Piero: dovevano giocare i calciatori più in forma, soprattutto nei big match.

Juventus-Lazio dell’11 aprile 2012 è l’ultimo vero big match del campionato bianconero, la sfida più difficile sulla carta. Una sfida che vale lo scudetto, insomma. La Juventus gioca in casa, nel nuovo stadio di proprietà, ma la Lazio gioca per il terzo posto e affronta la sfida al massimo delle forze.

Quando io e mio padre ci mettiamo davanti allo schermo, quella sera, la partita è già a metà del secondo tempo. Dopo una giornata passata alla camera mortuaria, ancora storditi e confusi, non c’è nessuna voglia di partecipare alla foga agonistica della partita. La guardiamo soltanto per abitudine. Soltanto per distrarre la mente dai pensieri, per qualche minuto.

La partita è bloccata sull’1 a 1. I commenti dei telecronisti e i replay precedenti parlano chiaro: durante il primo tempo la Juventus aveva dominato, imponendo bel gioco. Ma dopo il gol di Pepe non è stata capace di capitalizzare la superiorità, complici le ottime parate del portiere laziale Marchetti e gli errori sottoporta degli attaccanti. Tanto che negli istanti finali del primo tempo la Lazio raggiunge il pareggio con Mauri dopo una rapida ripartenza. Ne segue un secondo tempo bloccato da entrambe le parti, privo di grandi occasioni. Una tipica partita della Juventus di quella stagione, incapace di capitalizzare il gran volume di gioco prodotto e con il rischio concreto di un pareggio dal sapore di beffa, che poteva significare la perdita dello scudetto.

L’allenatore fa entrare Del Piero, che ormai ha accettato il ruolo di riserva. Senza fare una piega, entra in campo e si danna l’anima per quella che è diventata la partita più importante della stagione. Gli viene chiesto il compito più semplice di tutti, e al contempo il più difficile: fare gol. Semplice, perché di gol ne ha segnati oltre duecento con la maglia bianconera. Difficile, perché il fisico non è più quelli di un tempo e l’avversario non è uno sprovveduto. Ma Del Piero entra lo stesso, e comincia a macinare gioco.

Alex Del Piero ha sempre svolto un ruolo particolare, all’interno del mio nucleo familiare. Non quello di un idolo sportivo (non ho mai avuto poster di calciatori nella mia cameretta, nè sono mai andato a caccia di autografi), quanto quello di un simbolo che rappresentava un momento di unione e di relax. La partita domenicale rappresentava un momento tradizionale da passare in famiglia, novanta minuti senza preoccupazioni e senza brutti pensieri. Un momento particolare in cui riunire padre e figlio, che, tra lavoro e studio, non hanno mai passato abbastanza tempo assieme.

Alex Del Piero è stato il protagonista della prima partita di calcio di cui io abbia memoria (Fiorentina-Juventus 2-3) e la bandiera della mia squadra nel periodo della giovinezza. È stata una presenza costante, mai ingombrante, di quelle domeniche passate in famiglia. È stato un membro della famiglia allargata, rappresentate di uno sport che, quando non si perde in polemiche o in pratiche illegali, è capace di veicolare emozioni e legami.

L’addio di Del Piero alla Juventus, già annunciato a fine 2011, era la fine di un’epoca. Non avevo mai assistito a una partita della Juventus senza Del Piero. E, soprattutto, non avevo mai assistito a una domenica in famiglia senza mio nonno. Tutti sapevo che la Juventus sarebbe andata avanti lo stesso, perché non si poteva esaurire con l’uscita di scena di un campione, seppur così importante. E allo stesso modo la mia famiglia doveva andare avanti, nonostante l’uscita di scena di mio nonno.

L’addio di Del Piero era la fine di un’epoca. Quelle erano le ultime partite di Alex alla Juventus, le ultime occasioni per rendersi determinante come tante volte in passato. L’11 aprile 2012 era forse l’ultima occasione per lasciare un segno, nonostante il futuro non potesse più essere cambiato. La seperazione tra la squadra e il suo capitano era stata rimandata, forse per troppo tempo. E quello era anche il giorno in cui era morto mio nonno. Il giorno in cui la mia famiglia aveva assistito a un simbolico passaggio di consegne, affrontando un momento non più rimandabile.

Per questo, già sapevamo che cosa sarebbe accaduto.

Quando al 37′ del secondo tempo di Juventus-Lazio, della 32° giornata del campionato italiano di calcio 2011-2012, sul risultato bloccato sull’1 a 1, la Juventus conquista una punizione sulla tre quarti, già sapevamo che cosa sarebbe accaduto. Era tutto già scritto.

Anche se non era la posizione perfetta per la consueta punizione di Del Piero. Anche se ormai era vecchio e stanco, anche se ormai era alla ricerca di una squadra estera in cui finire la carriera. Sapevamo che cosa sarebbe accaduto.

È tutto nella mia testa, indelebile. Pirlo che si lamenta con l’arbitro per la vicinanza della barriera. Del Piero che corre verso la palla. Il pallone che disegna una parabola, si infila nella parte esterna della barriera e si insacca in rete. Un gol che vale una vittoria, un gol che vale uno scudetto.

Era tutto già scritto. Doveva andare così. Per mio nonno, come per Del Piero.

Dopo una giornata passata in camera mortuaria, nè io nè mio padre abbiamo avuto il coraggio di esultare a quel gol. Sia perché sarebbe stato fuori luogo, sia perché non c’era nessuna sorpresa. Era ovvio, era così scontato che dovesse finire così. In maniera così perfetta.

E mentre dalla televisione arrivavano le urla di gioia dei tifosi, noi eravamo in silenzio. Non potrò mai dimenticare il pianto silenzioso di mio padre di fronte al gol di Del Piero, il primo pianto per la morte di mio nonno, rimandato per tutta la giornata.

Anche quello, forse, non poteva più essere rimandato.

Doveva finire così.

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