Storia breve del passero Teodoro

La mia è una famiglia numerosa, come tutte le famiglie di origine contadina. Anzi, origine contadina non è il termine più corretto: faccio parte della prima generazione della mia famiglia che non ha vissuto in prima persona la mezzadria a Montepulciano. Pertanto l’etica contadina è ancora molto presente all’interno del mio gruppo familiare, che per certi versi può essere considerata come una sorta di famiglia allargata.

Il pranzo estivo con la famiglia allargata, detto anche “Il pranzo dei Banini”, in onore dei fratelli che formarono il nucleo dell’ultima esperienza mezzadrile, è una tradizione. È una tradizione non ritualizzata nè canonizzata. Non è una festa comandata, non è una sagra, non è una consuetudine. Si può cambiare posto, modalità, periodo; si può persino saltare un anno. Si possono invitare più o meno persone. Ma è una tradizione, perchè fa parte della nostra storia e della nostra identità.

Il pranzo estivo si è arricchito già da qualche anno del cinghiale, tipica cacciagione locale, procurato da alcuni parenti durante le battute di caccia autunnali e cucinato con maestria dalle massaie di famiglia nelle più classiche espressioni delle tagliatelle al ragù e del cinghiale in umido.

Unire tali alimenti all’afa dell’ultima domenica di luglio può diventare letale, se non ci fosse la consapevolezza di partecipare al pranzo di una famiglia allargata. Una famiglia in cui i più anziani muoiono con il passare del tempo, secondo le leggi di natura; i più giovani crescono e si sposano, nascono dei bambini e compaiono nuove esigenze.

Arrivato alla soglia dei trent’anni, non posso più definirmi parte del gruppo dei bambini, nè dei ragazzi, di questa famiglia allargata. Nipoti e cugini hanno preso il mio posto nel cerchio della vita, mentre le vecchie generazioni lasciano spazio a quelle più giovani, tramandando storie e ruoli assieme a quell’etica di origine contadina.

Accade però, alla fine del pranzo estivo a base di cinghiale, un evento che rompe il quadretto fin qui tratteggiato. Accade Teodoro.

Il ritrovamento da parte dei bambini di un passero caduto dal nido sembrava soltanto un consueto avvenimento di una vita in campagna. Un uccellino grande quanto un pollice, incapace di volare, ma senza apparenti ferite.

La reazione dei familiari di fronte al passero è esemplare: i più piccoli cercano soluzioni per salvarlo, mentre i più grandi lo danno per spacciato. L’interesse nei confronti dell’uccellino è inversamente proporzionale all’anzianità: i più vecchi non lo degnano di uno sguardo, i più piccoli non lo lasciano solo un attimo. Alla ricerca del nido partecipano anche i ragazzi e i genitori, più per assecondare i bambini che per un reale interesse.

La ricerca si dimostra vana: il passero sembra caduto dal tetto tramite la grondaia, quindi è impossibile ritrovare il nido originario. Con il passare dei minuti e l’aumentare dell’afa, l’etica contadina prende il sopravvento. Inutile preoccuparsi, ormai è spacciato, meglio darlo ai gatti. Questi sono i pensieri dei più grandi, che devono insegnare ai bambini come funziona il mondo e far loro capire che non devono affezionarsi troppo agli animali. L’animale domestico da accudire come un membro della famiglia fa parte della tradizione borghese, non tanto di quella mezzadrile.

E i parenti si allontanano dal passero in funzione della loro anzianità: chi tenta di trovare una sistemazione alternativa sugli alberi o di contattare le associazioni animaliste della valdichiana lentamente si arrende e accetta l’etica contadina. Un maggiore impegno, oltre a essere infantile, sembrerebbe il tentativo di opporsi alla natura che fa il proprio corso. Ulteriori sforzi sarebbero fuori luogo, e impartirebbero una cattiva educazione ai bambini.

Sono proprio i bambini gli ultimi ad arrendersi. Quando anche loro capiscono che non ci sono nidi nei dintorni né associazioni a poca distanza per prendersene cura, la sorte del passero Teodoro sembra spacciata. La Lipu locale è chiusa da tre anni, l’Enpa locale è chiusa da un anno. Nessuno vuole fare sforzi ulteriori: non ne varrebbe la pena. Non sarebbe giusto, per certi versi.

Ma la storia del passero Teodoro non finisce così, come la natura aveva predisposto. L’unica a non arrendersi, saltando il suo momento di accettazione prima dei bambini, è la mia fidanzata Alessia, originaria di Como. La sua storia familiare non è quella dei mezzadri, bensì quella della laboriosa classe operaia del nord-est.

Lei non si arrende. Contro tutto e contro tutti, si porta a casa il passero Teodoro. Lo chiude in una scatola di scarpe con dei pagliericci e una pezza umida, seguendo le indicazioni trovate su internet. Prepara una pappa di polenta e mela per dargli da mangiare, lo fa bere con una siringa. Non ha soluzioni, sa soltanto che il mattino dopo dovrà partire per Como. Sa soltanto che ha un pomeriggio pieno di lavoro da finire prima delle ferie e nessuno ad aiutarla con Teodoro.

Neppure io, che mi sono già arreso, seguendo quella linea di accettazione in base all’età che il mio ruolo richiedeva. Neppure io, che lo consideravo un gesto di eccessivo infantilismo, di inutile orgoglio, che avrebbe portato problemi non richiesti.

Alessia accudisce Teodoro, mentre cerca una sistemazione per la mattina successiva, trascurando doveri e piaceri. Senza nutrire nessun amore particolare per gli animali, senza nutrire nessun desiderio di maternità inespresso. Nulla di tutto questo.

Alessia accudisce Teodoro perché è giusto non arrendersi.
Così semplice. Così corretto, così maturo.

Da piccoli ci insegnano che il mondo è bello e che non bisogna mai arrendersi alle ingiustizie. Per preservarci, per assecondarci. Per farci stare bene, almeno nei momenti lieti dell’infanzia. Poi cresciamo, e ci insegnano che il mondo è duro e cattivo, che solo i migliori sopravvivono, che la maturità è sinonimo di cinismo. E chi non si adegua a questa etica è, se non un infante, per forza di cose infantile.

Ma forse sono soltanto i bambini a possedere il coraggio di non arrendersi, quel coraggio che sfocia nell’ingenuità. Forse ci vuole più forza per lottare come loro, più maturità. Forse la realtà è tutto l’opposto: non era Alessia a comportarsi in maniera infantile, noi non avevamo capito perché ci eravamo già arresi.

Ci eravamo semplicemente arresi. Ci eravamo lasciati trascinare dall’etica che noi stessi ci eravamo costruiti, e abbiamo creduto che fosse la forza donata dalla maturità, la corazza di cinismo che ti permette di sopravvivere allo schifo del mondo.

Invece Alessia non si è arresa, senza essere una bambina. Senza essere un’animalista convinta, senza avere doppi fini. Non si è arresa perchè era giusto non arrendersi.

E quando tra i contatti dei social network è spuntata fuori la soluzione, sapeva che la partita era vinta. Ancora una volta la cultura aveva battuto la natura.

Abbiamo portato il passero Teodoro ai membri di un’associazione animalista nei pressi di Sinalunga, mentre accompagnavo Alessia a prendere l’autobus per Como. Senza neppure necessità di una deviazione di percorso o un cambio di orario. I membri dell’Enpa hanno portato Teodoro a un veterinario locale che accudisce gli uccellini caduti dal nido e li lascia liberi quando sono in grado di volare. Una soluzione perfetta. Fortunata, forse. Ma cercata con forza. Perché la fortuna non aiuta chi si arrende.

La storia breve del passero Teodoro si conclude quindi con una morale, senza essere una favola a lieto fine. Perchè le favole a lieto fine sono per i bambini: stavolta, invece, tocca agli altri imparare.

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