The Witcher: eroi, uomini e mostri

La saga del Witcher è una serie di romanzi dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, che ha goduto di un buon successo negli anni ’90, ma che è arrivata all’attenzione del grande pubblico internazionale grazie a una fortunata trilogia di videogiochi della CD Project RED. La saga che vede come protagonista lo strigo Geralt di Rivia è diventata in breve tempo una delle mie preferite, la cui lettura è caldamente consigliata. Non voglio però dilungarmi in una normale recensione, bensì approfondire tre aspetti degni di nota, da cui traggo ispirazione anche per i miei lavori.

Il primo aspetto è quello dell’umanità. Poche saghe fantasy come quella del Witcher riescono a fornire al lettore una riflessione, cruda e profonda, sul concetto di umanità. Nell’ambientazione sono presenti razze umanoidi come elfi e nani, con cui gli uomini convivono con le stesse difficoltà con cui le diverse etnie convivono nel mondo reale; e poi sono presenti i mostri, che riempiono un bestiario fantastico di minacce agli umanoidi, a cui gli strighi cercano di porre un freno. Perchè lo strigo è un professionista, un cacciatore assoldato per liberare un villaggio da uno spettro o il maniero di un nobile dalla maledizione di un lupo mannaro. Non c’è nessuna epicità nella saga, non c’è nessuna lotta tra bene e male, ma una lotta per la sopravvivenza tra umani, mostri e non-umani, in una normalità quasi cinica e banale. Mentre i regni umani si fanno la guerra, ogni razza mostra le proprie atrocità e le proprie paure, con il risultato che il confine etico tra umanità e mostruosità è molto labile. E il protagonista, che non è un eroe nel senso epico del termine bensì un professionista, ha il compito di rimanere neutrale e di svolgere il suo lavoro. Ma quando la guerra diventa più cruenta e i problemi personali si mischiano con le tattiche militari e gli intrighi di corte, anche per Geralt sarà sempre più difficile mantenere la neutralità, separare in maniera netta l’umanità da difendere dalla mostruosità da sconfiggere. Questo è un tema che apprezzo particolarmente, e che ho trattato nella storia di Uziel con il romanzo “La Strada Perduta”.

Il secondo aspetto che rende la saga del Witcher meritevole del successo che ha ottenuto, a mio avviso, è quello della paternità. Geralt è il protagonista, e in qualità di strigo è un mutante dotato di capacità sovrannaturali che gli consentono di sconfiggere i mostri. Ma non è un eroe, né dal punto di vista etico, né dal punto di vista narrativo: Geralt è uno strigo come tanti altri. La vera eroina, la ragazza della profezia dotata di poteri magici superiori a quelli degli altri, è la figlia adottiva Ciri. È Ciri che deve salvare il mondo, è Ciri che deve imparare a controllare il suo potere, è Ciri che deve superare una serie di ostacoli per compiere il suo destino. Geralt è suo padre, che vive la sua parte di avventure per salvare la figlia, per aiutarla e consigliarla. Tanti altri autori avrebbero affrontato la saga del Witcher dal punto di vista di Ciri: la ragazzina speciale che deve formarsi in mezzo alle difficoltà per salvare il mondo. Quant’è banale questo approccio, seppur mutuato dalla fiaba? Sapkowksi ha saputo fare di meglio, ha saputo affrontare la questione della genitorialità in un contesto fantasy.

Terzo e ultimo aspetto che mi permette di inserire la saga del Witcher nell’olimpo del genere: la sua eredità. Gran parte del suo successo è dovuto alla trilogia di videogiochi, e questo è forse uno dei rarissimi casi in cui l’opera derivata supera l’originale. Tante volte abbiamo dovuto sorbirci serie televisive, film o altre opere derivate che non rendevano giustizia all’opera originale: non è questo il caso, la trilogia videoludica di Geralt restituisce pienamente lo spirito dell’ambientazione, l’attenzione ai dettagli della trama, la difficoltà a mantenere la neutralità e lo struggimento di garantire un futuro alla figlia. Un prodotto maturo, completo e ben riuscito, che ha ricevuto onori e premi anche per il gameplay. Quando le opere derivate superano l’opera originale, significa che l’ambientazione è solida, che i punti di forza della narrazione sono entrati ormai a far parte dell’immaginario condiviso, che il valore della storia è riconosciuto. D’altronde, lo stesso Sapkowski si era ispirato ai miti e alle leggende del folclore per costruire la sua ambientazione, rivisitando in molti casi alcune fiabe famose da un punto di vista più crudo e realistico. Con la trilogia di videogiochi la saga del Witcher si è ulteriormente evoluta, ergendosi a pietra miliare dell’immaginario fantasy, e probabilmente sarà fonte d’ispirazione per tante altre opere.

Non vi consiglio soltanto la lettura della saga di romanzi, quindi, ma anche di giocare alla trilogia, per vivere un’esperienza immersiva e ben orchestrata in un’ambientazione di tutto rispetto.

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