Gospel: Khotan, III sec. – Capitolo 4

The Gospel according to All – Nona Vita

Khotan, IV secolo d.C.

taklamakan

IV.

Avevo cinquantasei anni quando la donna giunse da ovest. Era una donna che viaggiava da sola, senza cavalli nè carovane, senza mercì nè provviste. Portava una spada smussata al fianco e dei coltelli alla cintura.

Io la accolsi con una brocca d’acqua, perché temevo che si fosse smarrita, o che soffrisse di qualche malattia. Lei, però, non aveva sete. Aveva dei modi gentili e cortesi, ma parlava poco. Forse non capiva bene la nostra lingua. Aveva degli splendidi capelli corvini, raccolti in una lunga treccia, e un diadema di bronzo sulla fronte. La sua pelle era chiara come la nostra, ma i suoi lineamenti erano stranieri. Indossava una pelliccia marrone sopra gli abiti di seta, come se non avesse alcun timore del deserto.

“Sto cercando un mercante.” mi disse.
“Qui ne passato in continuazione, mia signora. Sia verso Khotan che verso Kashgar.”
“No. Stava fuggendo verso est.”

La donna mi descrisse i lineamenti dell’uomo. Pelle scura, naso largo, cicatrice sul ventre. Era un uomo che non avrei mai potuto dimenticare. Anche adesso che faticavo a ricordare i nomi dei miei familiari e delle bambine, anche adesso che la mia memoria non era più quella di una volta, non avrei mai potuto dimenticare quell’incontro.

“Lo conosco, mia signora. Ma sei arrivata in ritardo di quasi cinquant’anni.”
“Soltanto cinquant’anni, quindi.”
“Soltanto? È il tempo di una vita.”
“Sì. Il tempo di una vita.”

Le offrii un tè di gelso, e lei accettò volentieri. Si mise a sedere accanto al vecchio pozzo, attendendo che finissi i miei lavori quotidiani. La mia schiena era curva, le mie gambe stanche, e non ero più precisa come un tempo a tessere la seta.

Passai tutto il pomeriggio a insegnare alle bambine a utilizzare il telaio, a curare le piante e a nutrire i bachi. Già da molti anni le bambini di Melikawat facevano visita alla mia fattoria, tra una spedizione commerciale e un’altra, assieme ad alcuni genitori e a un paio di guardie cittadine. Insegnavo loro a tessere la seta, ad accudire i mariti e a riconoscere le origini dei mercanti di passaggio. Le bambine apprendevano rapidamente, con la curiosità e l’incoscienza tipica della fanciullezza. Ogni volta che una carovana si fermava di fronte alla mia fattoria, assistevano i genitori negli acquisti e tornavano al villaggio.

Alla ragazza più grande, una splendida fanciulla slanciata dalle trecce rossastre e dal viso lentigginoso, mi piacerebbe lasciare la fattoria, quando sarà il momento. Le avevo già insegnato ad assegnare i prezzi alla seta e a difendersi con il coltello dai mercanti troppo impudenti. Le avevo già insegnato a rispettare la via della seta e a tenersi alla larga dal deserto di Taklamakan, poichè chi ci entrava non ne usciva più.

Quando giunse la sera, le bambine si misero a dormire e le guardie si fermarono a piantonare l’ingresso della fattoria, con le lance in pugno. La donna mi aveva atteso fino a quel momento, con lo sguardo fisso al deserto e la tazza di terracotta in mano.

Fu soltanto al tramonto che la riconobbi per ciò che era. Non era un mercante, nè un predone, nè uno di quei buddisti tibetani che venivano a conquistare le nostre oasi. Non era mia sorella, non era la figlia del capovillaggio, non era una bambina.

Quella donna aveva percorso in continuazione la via della seta, verso est e verso ovest, per ogni giorno di ogni anno. Aveva sempre percorso ogni strada, in mezzo ai mercanti e ai viaggiatori, ai preti e ai filosofi, ai contadini e ai cavalieri. Mi aveva soltanto sfiorato, in tutti quegli anni, passando di fronte alla fattoria. Solo stavolta si era fermata ad aspettarmi. Solo stavolta era venuta per me.

I suoi modi erano gentili, ma il suo sorriso era triste.
“Come stai?” mi chiese.
“Come può stare una vecchia.”

La donna bevve un ultimo sorso di tè, poi appoggiò la tazza a terra.
“Sono abbastanza grande per morire?” le chiesi.
“Non si è mai abbastanza grandi.”

Tirò fuori dalla tasca una piccola trottola, intagliata nel legno. La fece ruotare sul ciglio del pozzo, sopra le pietre. Non so se fosse la stessa trottola che mi aveva regalato il mercante e che i predoni avevano saccheggiato.

La trottola girava, girava, girava.

La donna mi strinse la mano, con gentilezza. Sorrisi.

Quando la trottola cadde a terra, spirai di fronte al deserto.

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